Come si diventa creativi è la domanda che mi pongo da quando sono bambina. C’è un che di magico nella creatività che ho pensato di poter controllare con la tecnica. In realtà, lo sono sempre stata senza saperlo, ma ero troppo occupata a seguire le regole del “bravo creativo”.
Spesso si sottovalutano le conseguenze del predominio delle teorie generalmente ritenute valide. Esse sono considerate utili punti di partenza, in attesa del momento di compiere ulteriori passi in avanti. E questo è un atteggiamento che, se può portare a risultati pratici, può anche impedire il manifestarsi di idee originali
– Edward De Bono, Piccolo Manuale di Creatività
Come si diventa creativi? Me lo chiedo da quando ero bambina
“Voglio essere creativa”: penso di essermelo ripetuta centinaia di volte prima da bambina e poi da ragazza. Ci doveva essere un metodo per farlo e io lo avrei scoperto. Così, durante un’adolescenza passata tra la creazione di magliette punk, disegni con i pastelli acquerellabili sulle teste degli amici (giuro), libri di poesie e avventura, piercing e mercatini, ho iniziato a leggere un libro sulla creatività.
Una frase fu per me rivoluzionaria: “Si può imparare a essere creativi. Ecco le migliori tecniche per diventarlo”.
Io volevo imparare e a 19 anni mi sono iscritta a ciò che di più creativo c’era in quel momento in Italia: il primo corso di diploma universitario in tecniche audiovisive e multimediali. Era il 1999 e internet cresceva a pieno ritmo.
La mia creatività era pronta per esplodere.
Studiare le tecniche creative non bastava
Ho studiato tanto, tantissimo, dalla scrittura all’audiovisivo, dal marketing alla pubblicità, dal giornalismo alla sceneggiatura, fino alla scrittura creativa e all’editoria. Mi sono riempita la testa di libri, teorie, tecniche, studi scientifici, metodi per applicare le tecniche creative e sistemi per sviluppare il pensiero laterale.
Per vent’anni ho studiato e lavorato seguendo i binari giusti, ho approfondito tutte le metodologie più conosciute del settore, non mi sono mai tirata indietro verso tutto ciò che prometteva di creare il progetto giusto al momento giusto.
Nonostante tutto, però, non riuscivo mai a definirmi nemmeno lontanamente appartenente alla categoria dei “creativi”. Non ero designer, non ero regista, non ero scrittrice, non ero pittrice e nemmeno performer. In realtà, non mi vestito neppure più in modo originale.
Perché non ero creativa?
Sono brava nel mio lavoro. Ho sempre ricoperto ruoli di progettazione e coordinamento, soprattutto in progetti nuovi dove era necessario osare strade nuove e rischiare. Tutti i miei colleghi venivano sempre da me a chiedere soluzioni che il più delle volte funzionavano a meraviglia. Ho elargito così tante idee da perdere il conto. Ho applaudito i successi di altri pur sapendo che appartenevano a me con lo stesso trasporto con cui mi ripetevo: ma perché io no?
È che io non mi sentivo creativa.
E, quindi, non mi mostravo come tale.
Eppure ho studiato tanto la teoria della creatività, ho lavorato con tutte le tecniche possibili. Perché io no?
E se stessi sbagliando idea di “creatività”?
Un giorno mi capitò di leggere una frase dello studioso della creatività per eccellenza, Edward De Bono, un classico, quello della tecnica dei 6 cappelli. Dice:
Ma arriva il momento in cui è necessario mettere in discussione non il modo nel quale gli elementi possono essere raggruppati, ma gli stessi elementi noti.
Quindi?
E se gli elementi noti fossero proprio il mio concetto di creatività?
Troppo preoccupata di essere brava e competente, di seguire le tecniche corrette e rispettare i vincoli, di fare in modo che tutto quello che facevo fosse sotto controllo e rispettasse i migliori principi di pianificazione, non mi sono mai accorta della quantità di idee che generavo quotidianamente.
Troppo concentrata a essere brava per il pensiero dominante, ero diventata schiava del giudizio e non guardavo tutta la bellezza che ero capace di creare. E ancora:
Non è possibile guardare in una direzione nuova appuntando sempre più gli occhi nella vecchia direzione.
Le mie idee non erano sgargianti, non erano colorate e neppure in rima. Ma davano risposte ai problemi che ho incontrato e che le persone mi ponevano.
E soprattutto inventarle mi dava soddisfazione: immagino che sia come volare, osi, perdi il controllo per un attimo, ti lasci andare e tutto funziona.
La creatività non è una tecnica, ma una condizione in cui ci poniamo
Ci è voluto tempo per recuperare la fiducia e le vecchie convinzioni tornano spesso a fare capolino nella mia testa, ma so che adesso la creatività non è una sfida o una meta da raggiungere. È una compagna di viaggio che mi affianca ogni giorno nel lavoro e nella vita. È il mio modo per vivere e viaggiare.
Era vera quella “frase rivoluzionaria”, ma solo nella prima parte: “Si può imparare a essere creativi”. Ma non ci sono tecniche per diventarlo, ci sono scelte quotidiane che ci pongono nella condizione di sentirci liberi di creare nuove idee.
Possiamo utilizzare dei metodi per facilitare l’“uscita” delle nuove idee: dai 6 cappelli di De Bono ai post it, dal design thinking al visual design, dalle mappe mentali al brainstorming e via dicendo.
Possiamo avviare dei processi di trasformazione come il camminare, la meditazione, lo yoga, il cambio di set e di ambientazione, il teatro o lo sport.
Possiamo arrivare anche ai riti di psicomagia di Jodorowskj. Perché, no?
Ma prima di tutto dobbiamo porci nella condizione “creativa” per eccellenza: sentirci liberi di creare e autorizzati a mettere in discussione tutto.